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11
APR | 2021
Winology (Parte II)

Cosa c’è nel nostro bicchiere di vino
I motivi per cui preferiamo una bottiglia di vino ad un’altra sono diversi e assai peculiari. Ad alcuni piacciono i vini corposi e alcolici, solitamente provenienti dal Sud; ad altri quelli più fini e setosi. C’è chi preferisce un vino da pasto, accomodante e mai ingombrante, e chi si diletta tra le bollicine tipiche di un aperitivo. L’estate è la stagione preferita dei rosé, delle bollicine e dei bianchi freschi che accompagnano pasti, aperitivi serali e momenti di relax da soli o in compagnia. L’inverno, invece, è la stagione elettiva dei rossi che scaldano e animano le tavole degli italiani. Qualunque sia la vostra scelta,vi siete mai chiesti cosa si trovi all’interno del vostro bicchiere di vino? A meno che non vi sia caduta una briciola di pane, il liquido odoroso è lo specchio di tre componenti:

 

La territorialità
La combinazione del clima tipico di un luogo, il suo sottosuolo e le pratiche agricole e vitivinicole che si sono imposte nel corso degli anni, caratterizzando la produzione di vino in un preciso contesto geografico, beh, tutti questi fattori sono spiegati dal termine francese terroir, che potremmo umilmente tradurre come territorialità. Uno splendido esempio è il Derthona, di cui abbiamo a catalogo Vigneti Boveri Giacomo. Derthona è una sottozona di Tortona, in Piemonte, dove di recente è stato riscoperto un vitigno autoctono chiamato Timorasso, capace di generare vini longevi, di classe e dall’indubbia bontà. Provare per credere!

 

L’uva
Il tipo di uva che si è adattato nel corso degli anni al clima e al sottosuolo di un preciso luogo geografico porta con sé una serie di caratteristiche che svela il carattere di un vino: il colore unico, i profumi inebrianti e il livello di acidità. Ad esempio, una degustatrice adeguatamente esperta, saprà riconoscere al naso, se non agli occhi, la differenza tra un Negramaro e un Primitivo, uno Chardonnay da un Sauvignon Blanc. Potrà anche riconoscere la differenza tra la stessa uva coltivata in territori diversi, per esempio un Primitivo di pianura da uno di collina, uno Chardonnay del Mâconnais, solitamente corposo, burroso e vanigliato, da uno Chablis che fa della mineralità e spinta acida i suoi punti di forza.

 

La filosofia produttiva 
Ci sono produttori (e produttrici, sempre di piu’, per fortuna!, come le nostre Monica e Daniela Tibaldi, a catalogo Oh My Foody) che cercano di preservare tecniche e tradizioni che si tramandano da anni, come quella di regolare il rapporto tra l’azione dell’uomo e quello dell’ambiente circostante, lasciando che sia la natura a dettare i ritmi e l’uomo ad accompagnare il processo di trasformazione da acino a liquido odoroso. Sono vini, questi, che rappresentano pienamente il terroir, il genius di un determinato luogo, e che fanno della sincerità e franchezza la loro cifra distintiva. Altre filosofie produttive prevedono un intervento assai presente dell’uomo, sia in vigna nell’uso di sostanze che agevolano delle rese assai generose, sia a livello di cantina dove le temperature di fermentazione sono controllate, e vengono effettuate interventi di chiarifica, filtrazione e aggiunta di solfiti prima dell’imbottigliamento, le quali richiedono determinate competenze enologiche e strumenti adeguati.




Redazionale













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